giovedì, marzo 25, 2004
VERSO LA CLASS ACTION ALL'ITALIANA ...
CIOE' INAGIBILE E FIGLIA DELLE NOSTRE TRADIZIONALI LIMITAZIONI? UN CONTRIBUTO AI LEGISLATORI PER UNA SEMPLIFICAZIONE
Firenze, 25 Marzo 2004. Leggendo il parere della Commissione Attivita' Produttive della Camera dei Deputati sulla bozza di testo unificato sulle class action, approvato dalla Commissione Giustizia (ddl Bonito n.3838) e che pare diventera' il testo principale di discussione in Parlamento, ci sono piu' che una perplessita'.
Il primo macigno lo troviamo nei soggetti legittimati a promuovere le azioni. Ad una iniziale esclusiva delle associazioni dei consumatori (a nostro avviso gia' assurda), si prevede l'estensione alle associazioni di professionisti e alle camere di commercio. Tipico modo italico di considerare gli individui come incapaci di essere tali giuridicamente, e quindi doverli far filtrare attraverso questa o quella associazione, per cui non viene riconosciuto il diritto dei singoli (magari aggregati vista la specifica materia) ma quello delle associazioni (consumatori o meno che siano).
Per quale motivo bisogna tirare in gioco associazioni gia' esistenti con interessi molteplici e che, di per se', potrebbero trarne vantaggi e svantaggi al di la' dello specifico contendere? Perche' non possono essere i consumatori, aggregati ad hoc in un comitato o associazione che dir si voglia, ad essere legittimati all'azione collettiva? E quindi solo loro a trarne vantaggi e svantaggi? Appoggiati e stimolati da chi lo vuole fare (associazioni consumatori o professionali, o chiunque altro privato o pubblico che sia, come nella vita di tutti i giorni), ma soggetti giuridicamente separati.
Ne verrebbe meno il tipico metodo italiano di dare piu' poteri alle associazioni piuttosto che ai singoli, al punto di sminuire la funzione giuridica di queste associazioni? Sicuramente si', e -a nostro avviso- sarebbe fatta giustizia di tanta giurisprudenza, leggi e procedura che sono tra le principali responsabili dell'allontanamento del cittadino dalla giustizia, e dell'inbarbarimento di quest'ultima: la riconquista del rapporto diretto e responsabile sarebbe una iniezione di fiducia e speranza.
Il secondo macigno e' l'azione individuale che, per dare adito al rimborso, dovra' seguire quella collettiva eventualmente positiva per il denunciate. Da una parte si concede e dall'altra si scoraggia. Quello che piu' lascia perplesso il cittadino nel ricorso alla giustizia e' la complessita' e l'incertezza. E mentre sull'incertezza occorre una forte azione di educazione e informazione (che oggi non c'e') da parte dello Stato, perche' e' ovvio che l'incertezza e' la sostanza del ricorso giudiziario, sulla complessita' si puo' fare molto.
Nel nostro caso far si' che ci siano effetti immediati risarcitori della sentenza alla fine del suo iter; e per rispettare il taglio dell'ordinamento italiano, prevedere un risarcimento solo a chi si e' preventivamente aggregato (prima della sentenza, ma anche durante il procedimento) nella promozione dell'azione collettiva. Per il momento sono due elementi di riflessione che offriamo ai legislatori che si apprestano a confrontarsi.
Ricordiamo che la nostra associazione e' quella che ha promosso la partecipazione italiana alla class action contro la Parmalat dello studio legale Milberg Weiss Bershad Hynes & Lerach LLp di San Diego (Usa) davanti al tribunale di New York, dove lo scorso 5 marzo sono state consegnate le adesioni dei circa 8 mila partecipanti italiani.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc