domenica, dicembre 14, 2003
E' stato catturato
Ora non vi più alcun alibi per un'occupazione ad oltranza.
Dopo la ricerca delle armi di distruzione di massa e il loro mancato ritrovamento, dopo la stagione delle bugie e della propaganda è stata compiuta e messa a segno la missione numero uno per cui veniva giustificata in seconda battuta la guerra e poi l'occupazione.
Per riportare la democrazia ora occorre passare il potere a organismi locali liberamente eletti e riconosciuti dalla popolazione come sovrani.
Saranno queste realtà espressione della volontà generale a dire se esse vogliono o non vogliono l'aiuto di truppe straniere (e di quali nazioni), se vogliono o non vogliono l'Onu, se il petrolio e le ricchezze nazionali debbano essere gestite dagli irakeni o dagli americani.
Siamo al momento più delicato della faccenda.
Questa è l'ora X per i signori del petrolio e della guerra.
La si può gestire con lo stesso ipocrita trionfalismo con cui si è abbattuta la statua di Saddam. Come pure si può cogliere l'occasione per guardare a tutti gli errori commessi al fine di cercare una strada d'uscita. La cattura di Saddam, infatti, non è la vittoria, non è la via d'uscita dal pantano irakeno. E' solo la porta di ingresso in una prospettiva diversa. Che ha un solo nome: il potere agli irakeni. Quel potere che Saddam aveva tolto e che - pur nella clandestinità - serbava come simbolo ambiguo di resistenza e catalizzatore di una parte delle forze del vacchio regime; l'Iraq è stato vittima di una guerriglia che ha usato le stesse tecniche dei piani di sabotaggio previsti in Italia dagli americani in caso di governo a partecipazione comunista. Il sabotaggio sistematico basato sul "tanto peggio tanto meglio" era finalizzato a rendere ingestibile tutto. Era un sabotaggio che non mirava solo a mettere in difficoltà gli americani ma che toglieva ogni ruolo a quella neonata società civile irakena orientata verso la partecipazione democratica e verso un'autonoma scelta del proprio futuro politico. Da una parte la resistenza di Saddam e dall'altra la prova di forza delle truppe americane: era un'alternativa secca da cui non si usciva. E ne faceva le spese la volontà popolare, di cui non hanno mai voluto tener conto né Saddam né Bush.
Ora è il momento della svolta vera, oppure è il momento della presa per i fondelli di un intero popolo.
Che Bush ne sia convinto o no è questo il momento di passare i poteri, o il futuro diventerà per i soldati americani l'inferno del Vietnam.
Senza un gesto saggio - magari compiuto controvoglia dalle forze occupanti - allora il simbolo della lotta all'occupazione passa nelle mani del terrorismo fondamentalista collegato a Bin Laden il quale in questo momento vede cadere il suo rivale Saddam.
Se non si compie al più presto questo passaggio democratico di poteri allora la resistenza - che fino ad ora era interpretata per lo più come terrorismo pilotato da Saddam - diventerà un fenomeno generalizzato e incontenibile.
Con una guerra di liberazione nazionale (magari ispirata alla teocrazia e benedetta da Al Queida) verrebbero meno le speranze per un cambiamento non violento e basato su una volontà popolare espressa tramite il meccanismo della maggioranza e della minoranza, ossia la regola della democrazia.
Nel Seicento il liberale John Locke scrisse che quando il potere sottrae al popolo la sovranità allora il potere torna al popolo a cui spetta il diritto di resistenza.
Noi pacifisti - che condividiamo il diritto a resistere all'oppressione con strumenti il più possibile non violenti - non amiamo la guerriglia. Tuttavia la resistenza sarà un fatto inevitabile se Bush - dopo il successo della cattura di Saddam - continuerà a dare alle sue truppe l'ordine di occupare l'Iraq a tempo indeterminato senza riconoscere agli irakeni il diritto all'autodeterminazione e alla sovranità sul proprio territorio.
Ogni popolo ha diritto a resistere ad un'occupazione militare. Più è di popolo, più è partecipata e meno è armata. Per quanto possa sembrare una irrealistica prospettiva, è auspicabile una vasta resistenza popolare non armata. Lo spirito di Gandhi non ha finora aleggiato in Irak. Tracciare con lo spray sulle corazze militari il simbolo della pace e issare la bandiera arcobaleno non sarebbe tuttavia una cattiva idea. A pensarci bene un accerchiamento pacifico di popolo dei blindati angloamericani - fatto anche da donne, anziani e bambini - sarebbe di fatto la fine della guerra e di un occupazione senza sbocco.
Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it