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martedì, dicembre 23, 2003

AMNESTY INTERNATIONAL: FURGONI FIAT PER ESEGUIRE CONDANNE A MORTE IN CINA 


I “boia itineranti” sono la nuova scoperta di Pechino e girano su furgoni FIAT adattati allo scopo. Lo ha denunciato oggi la Sezione Italiana di Amnesty International, chiedendo all’azienda torinese di non rendersi complice di una violazione del fondamentale diritto umano, quello alla vita.


Da quando la Cina ha adottato il metodo di esecuzione dell’iniezione di veleno, le autorità hanno sollecitato i tribunali locali a dotarsi di camere di esecuzione mobili, onde poter accelerare i tempi ed evitare di dover trasferire i condannati da una città all’altra.

Secondo Amnesty International, la pena di morte in Cina continua a essere applicata in modo esteso e arbitrario, spesso influenzata da interferenze politiche. Negli ultimi quattro anni, con il lancio delle cosiddette campagne “Colpire duro”, è aumentato considerevolmente il numero dei condannati a morte anche per reati di lieve entità, in precedenza puniti con il carcere. All’indomani dell’11 settembre 2001, inoltre, la Cina ha intensificato la repressione contro la minoranza uigura del Xinjiang, eseguendo condanne a morte per reati politici. I dati di Amnesty International, che riguardano solo i casi accertati, parlano di 1.060 condanne a morte eseguite nel corso del 2002. Secondo altre fonti, il numero delle esecuzioni potrebbe essere fino a dieci volte superiore.

Nei giorni scorsi, il “Beijing News” ha pubblicato la notizia dell’acquisto di un furgone da parte dell’Alta corte della Provincia di Liaoning, nella Cina nord-orientale, subito attrezzato per diventare “camera della morte” itinerante. La notizia è stata poi confermata da un funzionario di polizia della stessa Alta corte, addetto alle esecuzioni, il quale ha dichiarato alla “France Presse” che altri tribunali (diciassette, secondo fonti ufficiali cinesi), stanno procedendo all’acquisto dei furgoni.

Si tratta di furgoni Iveco, del gruppo Fiat, prodotti a Nanchino e che costano 400.000 yuan, circa 40.000 euro.

Il presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, Marco Bertotto, in una lettera indirizzata alla FIAT ha ricordato le responsabilità che l’azienda, capogruppo della Iveco, si assume con questa fornitura al governo cinese. Di fatto, un veicolo normalmente utilizzato per effettuare servizi di trasporto merci o persone, e quindi utile alla comunità civile, diventa parte essenziale di un apparato omicida puntato alla nuca della comunità stessa.

La Dichiarazione universale dei diritti umani, nel suo Preambolo, richiede a tutti gli individui e a tutti gli organi della società di fare la propria parte per garantire il rispetto di tutti i diritti umani in ogni parte del mondo.

Le imprese, soprattutto se grandi, transnazionali e potenti come la FIAT, essendo organi importanti della società internazionale, non possono sottrarsi a questo obbligo.

La Sezione Italiana di Amnesty International chiede alla FIAT di:

- porre fine alla vendita o alla consegna, se non ancora effettuata, dei furgoni alle autorità cinesi;
- intervenire presso le autorità cinesi per pretendere l’abolizione della pena di morte e la commutazione in pena detentiva delle sentenze già emesse;
- dare istruzioni ai propri dirigenti e a quelli della sua controllata Iveco, in Cina come in ogni altra parte del mondo, affinché non siano effettuate forniture di veicoli, parti di ricambio o attrezzature FIAT che potranno essere utilizzate per compiere violazioni dei diritti umani;
- informare l’opinione pubblica, con una propria comunicazione ufficiale, sulle iniziative assunte affinché questo commercio di morte cessi, e con esso il sostegno anche indiretto a qualunque governo o gruppo armato che usi veicoli, parti di ricambio o attrezzature FIAT per compiere violazioni dei diritti umani;
- fornire ampie assicurazioni che non effettuerà ulteriori forniture di veicoli, parti di ricambio o attrezzature FIAT destinate a funzioni che siano in palese violazione dei diritti umani;
- aderire e dare attuazione alle Norme delle Nazioni Unite sulla responsabilità delle aziende, approvate il 13 agosto di quest’anno dalla Sottocommissione Onu per la promozione e la protezione dei diritti umani;
- adottare e attuare rigorose politiche e comportamenti di responsabilità sociale nelle proprie attività quotidiane, facendo sì che queste politiche vengano trasmesse dal top management a tutti i dipendenti di tutte le imprese dalla FIAT direttamente o indirettamente controllate, impegnandosi attivamente affinché siano accettate e messe in pratica da tutti.
- dare seguito ai pronunciamenti e ai principi internazionali espressi nelle numerose risoluzioni del Parlamento Europeo in materia di responsabilità sociale delle imprese e di traffico di armi, nel Global Compact e nelle Linee Guida dell’OCSE.

Amnesty International, pur ritenendo che spetti ai governi la responsabilità principale di rispettare e far rispettare i diritti umani, ritiene che le imprese come la FIAT possano e debbano usare la propria influenza per intervenire sui governi a garanzia del rispetto dei diritti umani, e non possano sottrarsi a questa responsabilità, morale e legale, adducendo ragioni economiche oppure semplicemente tacendo. Di fronte a gravi violazioni dei diritti umani, come nel caso della pena di morte, il silenzio dei potenti interessi economici non può essere considerato neutrale. Roma, 23 dicembre 2003

Amnesty International
Sezione Italiana

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