lunedì, ottobre 27, 2003
Iraq: l´Italia investa sull´Onu
C´è una cosa più utile, saggia e lungimirante che l´Italia può fare per aiutare il popolo iracheno a ritrovare rapidamente il proprio futuro: sostenere l´intervento diretto e imparziale delle Nazioni Unite. Invece di prolungare la costosissima missione dei nostri tremila soldati a Nassiriya a fianco delle truppe d´occupazione, l´Italia deve destinare tutte le proprie risorse umane e finanziarie per rafforzare il "ruolo vitale"; dell´Onu in Iraq. Invece di restare agli ordini del comando americano, l´Italia deve mettersi a disposizione e agire di concerto con il Segretario Generale dell´Onu. Invece di sprecare ulteriori soldi in una missione militare dai contorni confusi e discutibili, l´Italia deve investire nel ridare credibilità all´unica autorità sopranazionale che può rispondere ai bisogni vitali di una popolazione stremata da decenni di guerre e dittature e che può aiutare gli iracheni a recuperare velocemente capacità di autogoverno e autodeterminazione. Invece di agire ancora una volta da sola, l´Italia "anche in qualità di Presidente di turno dell´Unione Europea- deve lavorare perché questa diventi la posizione e l´iniziativa comune dell´Europa: un´Europa che si impegna a ricostruire l´Iraq e la pace in Medio Oriente ma anche il diritto e la legalità internazionale violate.
La Risoluzione 1511 adottata dal Consiglio di Sicurezza sull´raq affida alle Nazioni Unite un ruolo ancora limitato e insufficiente. E´ questo il limite più profondo del debole compromesso raggiunto lo scorso 16 ottobre al Palazzo di Vetro. Al punto che, in ben tre paragrafi della Risoluzione, l´azione dell´Onu viene esplicitamente subordinata all´esistenza di "circostanze favorevoli". Segno che, allo stato attuale, le potenze occupanti non sono nemmeno disponibili a garantire quel minimo di agibilità necessaria per un ritorno significativo dell´Onu sul campo.
Da qui la necessità di dare una mano all´Onu. Nonostante tutti i suoi limiti la Risoluzione 1511 apre degli spazi ad una ripresa di iniziativa della comunità internazionale e noi abbiamo la responsabilità di usarli per dare una mano concreta al popolo iracheno. Impossibile chiamarsi fuori. Nessuno può permettersi di lasciare gli iracheni in balia delle forze d´occupazione, dei colpi di coda degli amici di Saddam Hussein o del caos che oggi sembra trionfare. Così come nessuno può illudersi di costruire ordine e sicurezza in Iraq trasformando con una risoluzione le truppe d´occupazione in una forza di pace e di stabilizzazione. Nessuno può illudersi di venire a capo della guerriglia irachena con strumenti militari. Servirebbero molti più soldati sul campo (che nemmeno gli americani possono permettersi di mantenere e che nessuno per ora sembra seriamente intenzionato a prestare). E anche se ce ne fossero abbastanza non basterebbero. Perché non esiste uno strumento militare capace di risolvere quel groviglio di problemi politici che affliggono l´Iraq.
Per questo l´talia e l´Europa devono innanzitutto porsi l´obiettivo di mettere in atto tutti quegli interventi concreti che sono necessari per favorire il rapido rientro delle Nazioni Unite in Iraq e la realizzazione di quelle missioni che la stessa Risoluzione 1511 elenca: assicurare la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione, promuovere la ricostruzione economica, favorire una rapida transizione politica in modo che "il popolo iracheno possa determinare liberamente il proprio futuro politico e controllare le proprie risorse naturali", favorire "il dialogo nazionale e la costruzione del consenso" che dovrà portare alla stesura della nuova costituzione e alla convocazione di elezioni democratiche, accelerare gli sforzi per costruire istituzioni locali e nazionali democratiche e rappresentative, promuovere la protezione dei diritti umani in tutto il paese, favorire lo sviluppo di media indipendenti, sostenere lo sviluppo della società civile irachena e delle sue organizzazioni indipendenti, etc...
Queste missioni non sono meno impegnative o rischiose di quella sin qui affidata ai soldati italiani che presidiano le strade di una provincia meridionale dell´Iraq ma hanno il pregio di portare un sollievo concreto alle donne, agli uomini e ai bambini che continuano a patire le conseguenze della guerra e della dittatura e di avvicinare il giorno in cui gli iracheni potranno governarsi da soli.
Per aiutare le Nazioni Unite a raggiungere questi obiettivi l´Italia deve inoltre impegnarsi per aprire le porte dell´Iraq a tutte quelle organizzazioni internazionali della società civile che hanno dimostrato di saper intervenire con efficacia anche laddove i governi non osano avventurarsi e alle quali ancora oggi viene sostanzialmente impedito di agire. Queste organizzazioni sono una risorsa insostituibile della comunità internazionale: meritano di essere sostenute, incoraggiate, valorizzate.
Naturalmente la decisione di investire sull´8217;Onu dovrà essere accompagnata da una importante azione diplomatica di concertazione con tutti i paesi della regione e le organizzazioni regionali come la Lega Araba e l´Organizzazione della Conferenza Islamica.
Lasciare l´Onu al palo e affidare il futuro dell´Iraq ad una qualsivoglia "forza multinazionale sotto comando unificato" può portare ad un solo prevedibile tragico risultato: la continuazione della guerra e della violenza, degli attentati, del terrorismo, del caos politico e delle vittime innocenti. Se vogliamo discutere del contributo dell´Italia e dell´Europa per la pace in Iraq non possiamo ignorarlo. Non ci ha insegnato nulla l´Afganistan?
Tavola della pace, 23 ottobre 2003
La Risoluzione 1511 adottata dal Consiglio di Sicurezza sull´raq affida alle Nazioni Unite un ruolo ancora limitato e insufficiente. E´ questo il limite più profondo del debole compromesso raggiunto lo scorso 16 ottobre al Palazzo di Vetro. Al punto che, in ben tre paragrafi della Risoluzione, l´azione dell´Onu viene esplicitamente subordinata all´esistenza di "circostanze favorevoli". Segno che, allo stato attuale, le potenze occupanti non sono nemmeno disponibili a garantire quel minimo di agibilità necessaria per un ritorno significativo dell´Onu sul campo.
Da qui la necessità di dare una mano all´Onu. Nonostante tutti i suoi limiti la Risoluzione 1511 apre degli spazi ad una ripresa di iniziativa della comunità internazionale e noi abbiamo la responsabilità di usarli per dare una mano concreta al popolo iracheno. Impossibile chiamarsi fuori. Nessuno può permettersi di lasciare gli iracheni in balia delle forze d´occupazione, dei colpi di coda degli amici di Saddam Hussein o del caos che oggi sembra trionfare. Così come nessuno può illudersi di costruire ordine e sicurezza in Iraq trasformando con una risoluzione le truppe d´occupazione in una forza di pace e di stabilizzazione. Nessuno può illudersi di venire a capo della guerriglia irachena con strumenti militari. Servirebbero molti più soldati sul campo (che nemmeno gli americani possono permettersi di mantenere e che nessuno per ora sembra seriamente intenzionato a prestare). E anche se ce ne fossero abbastanza non basterebbero. Perché non esiste uno strumento militare capace di risolvere quel groviglio di problemi politici che affliggono l´Iraq.
Per questo l´talia e l´Europa devono innanzitutto porsi l´obiettivo di mettere in atto tutti quegli interventi concreti che sono necessari per favorire il rapido rientro delle Nazioni Unite in Iraq e la realizzazione di quelle missioni che la stessa Risoluzione 1511 elenca: assicurare la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione, promuovere la ricostruzione economica, favorire una rapida transizione politica in modo che "il popolo iracheno possa determinare liberamente il proprio futuro politico e controllare le proprie risorse naturali", favorire "il dialogo nazionale e la costruzione del consenso" che dovrà portare alla stesura della nuova costituzione e alla convocazione di elezioni democratiche, accelerare gli sforzi per costruire istituzioni locali e nazionali democratiche e rappresentative, promuovere la protezione dei diritti umani in tutto il paese, favorire lo sviluppo di media indipendenti, sostenere lo sviluppo della società civile irachena e delle sue organizzazioni indipendenti, etc...
Queste missioni non sono meno impegnative o rischiose di quella sin qui affidata ai soldati italiani che presidiano le strade di una provincia meridionale dell´Iraq ma hanno il pregio di portare un sollievo concreto alle donne, agli uomini e ai bambini che continuano a patire le conseguenze della guerra e della dittatura e di avvicinare il giorno in cui gli iracheni potranno governarsi da soli.
Per aiutare le Nazioni Unite a raggiungere questi obiettivi l´Italia deve inoltre impegnarsi per aprire le porte dell´Iraq a tutte quelle organizzazioni internazionali della società civile che hanno dimostrato di saper intervenire con efficacia anche laddove i governi non osano avventurarsi e alle quali ancora oggi viene sostanzialmente impedito di agire. Queste organizzazioni sono una risorsa insostituibile della comunità internazionale: meritano di essere sostenute, incoraggiate, valorizzate.
Naturalmente la decisione di investire sull´8217;Onu dovrà essere accompagnata da una importante azione diplomatica di concertazione con tutti i paesi della regione e le organizzazioni regionali come la Lega Araba e l´Organizzazione della Conferenza Islamica.
Lasciare l´Onu al palo e affidare il futuro dell´Iraq ad una qualsivoglia "forza multinazionale sotto comando unificato" può portare ad un solo prevedibile tragico risultato: la continuazione della guerra e della violenza, degli attentati, del terrorismo, del caos politico e delle vittime innocenti. Se vogliamo discutere del contributo dell´Italia e dell´Europa per la pace in Iraq non possiamo ignorarlo. Non ci ha insegnato nulla l´Afganistan?
Tavola della pace, 23 ottobre 2003